Romanzo di Lina Fasolo. Collaborazione con l'autrice.
Solitamente, quando leggo un libro, ciò a cui faccio immediatamente caso è la scrittura, dunque vocaboli, costruzione della frase, termini, dialoghi. In questo caso, però, non ho avuto nemmeno il tempo di pensare a come fosse costruito il racconto.
Per fare un piccolo accenno alla scrittura, è ammirevole come racconti così veri e lontani da noi, siano descritti con tanta minuziosità e mescolati a quell’ironia che chiunque avrebbe oggi nel pensare a certi comportamenti di quel tempo.
Il piccolo libro autobiografico racconta di una bambina siciliana, sfortunata veramente, che compie i suoi primi passi verso l’adolescenza e quello che poi sarà il mondo degli adulti. Siamo nel periodo della guerra, delle morti precoci, delle paure, dei saluti con i propri cari che forse saranno gli ultimi per sempre; e subito dopo, il boom economico, l’emigrazione, la differenza tra nord e sud, i primi viaggi in aereo, i nuovi continenti: un nuovo mondo, una nuova vita.
Il brivido, leggendo, attraversa la pelle perché si ha la consapevolezza che tutte quelle righe non hanno assolutamente niente di fantasioso, anzi sono la pura realtà, che ad oggi sembra veramente assurda (anche all’autrice stessa). Modi di fare, pensare, dire; il godersi i giorni di festa, la privacy, i doveri; il non aver paura di affrontare la vita, che abbia a che fare con l’avere tanti figli o di vendere ogni cosa per trasferirsi a più di mille chilometri di distanza dal proprio luogo sicuro.
Perno centrale del racconto, e con ogni probabilità anche di svolta per l’intera vita dell’autrice, è sicuramente l’istruzione, l’intelligenza, “La fame del sapere” come la chiama lei stessa. In un periodo e in un paese dove la povertà regna sovrana, le lettere, i documenti, le letture diventano fonte di prestigio, potere e soprattutto guadagno. Se ad oggi ciò sembra scontato, se poco dopo vennero inventate le radio e subentrano le tv, nel periodo ricordato non esisteva ancora niente di tutto ciò. Un piccolo fascicolo con storie ben conosciute da tutti era oro, per chi leggeva e per tutta quella mole di persone (i vicini di casa) che volevano ascoltare, come per annebbiarsi con belle parole, riscaldarsi con gioiose e sentite storie, dedicare un po’ del proprio tempo allo svago.
Un percorso coraggioso, dalla nostra generazione spesso ignorato, al quale quasi tutti chinavano la testa. Bisognava farsi forza e godere delle piccole cose. Era importante avere un tetto sotto cui stare e frumento, uova e latte. Per il resto tutto sembrava esser facile. E se si voleva svoltare, cambiare posto, c’era sempre un amico, un parente o un conoscente pronto ad aiutare.
È questa la differenza tra l’oggi e il passato: la fiducia che si riponeva nell’altra persona, nonostante si conoscesse molto poco; la voglia di aiutare il prossimo senza farsi troppe domande; la condivisione di cibo, momenti di riposo o lavoro. Mancavano tante cose in quel periodo, ma forse, per fortuna, più di tutti mancava “l’egoismo”, che oggi è una prerogativa più che diffusa. Si era scampata la guerra, tutti erano dei miracolati, nessuno valeva più di qualcun altro, perché nel loro modo di essere, ognuno era valido per qualcosa in particolare.
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